La responsabilità storica della morte sulla terra
di Adolfo Santoro - sabato 25 ottobre 2025 ore 08:00

A Piazza Pulita di giovedì scorso il giornalista-presentatore, in una trasmissione globalmente dedicata all’attacco al giornalismo, ha lasciato svillaneggiare il professore della Columbia University Jeffrey Sachs ad opera del bilioso Calenda, che, come ricorda Crozza, tende a fare rissa verbale con tutti. In ballo c’era la riflessione sulla responsabilità storica dell’escalation delle guerre degli ultimi anni, guerre che però hanno radici lontane nelle guerre a pezzi.
Nel 2014 papa Francesco descrisse la terza guerra mondiale a pezzi, intendendo evidenziare la natura capillare e sistemica di massacri e distruzioni in diverse aree del mondo, ma non coordinate in un unico conflitto globale. Nel 2022 lo stesso Francesco ampliò la descrizione: si stava passando ad un’espansione globale che coinvolge economia, società e risorse di intere nazioni con possibilità di escalation verso una guerra globale totale. Con il nuovo avvento al potere del golpista Trump, col cronicizzarsi della guerra in Ucraina e col genocidio di Gaza e con l’ampliamento dei fronti della bellicosa Israele la possibilità descritta da Francesco è diventata una tragica realtà e dalla belle époque tutto il mondo è coinvolto e mobilitato in un’economia, un’industria, un’umanità di guerra. Prendono così forma in altri soggetti imperialistici i fantasmi delle due guerre mondiali, del nazismo e del fascismo, dei bambini morti e dei deportati, delle armi nucleari, del disprezzo delle regole di convivenza e delle istituzioni sovranazionali, delle masse soggiogate dalla propaganda.
Il Calenda, non contento di esibirsi in atteggiamenti da stadio, ha poi cercato di vomitare la sua bile sullo stesso giornalista-presentatore (che probabilmente sceglierà, da ora in poi, un’interlocuzione nella sua trasmissione diversa da costui), che prima aveva sposato visceralmente la tesi di Putin che invade per puro imperialismo l’innocente Ucraina, ma che poi – molto poi - si è accorto delle radici storiche del conflitto risalenti all’espansionismo imperialistico della NATO iniziato negli anni ’90 dello scorso secolo e ai colpi di stato e all’addestramento militare dell’Ucraina da parte dell’Occidente nel secondo decennio di questo secolo. Il giornalista-presentatore ha saputo schivare con mestiere il tentativo del Calenda di allargare la rissa, ma non può schivare i miei dubbi sulla sua acutezza professionale.
Il guerrafondaio europeista Calenda si trova a difendere la politica di riarmo dell’Unione Europea e, quindi, la politica di impoverimento dell’Europa, incapace, nel suo autolesionismo, di contribuire a risolvere diplomaticamente i conflitti col vicino o, meglio, incapace di accorgersi di essere stata manovrata da Biden & co nel contribuire alla guerra per procura.
Ma veniamo ai fatti! Lo storico Piero Bevilacqua, dopo aver sottolineato il consumo del tempo da parte della cognizione dell’uomo contemporaneo (e non parlava solo del Calenda!), alienato nell’effimero presente e ignaro delle radici dei conflitti nel passato coperto da manipolazioni, asserisce:
Quella dell’Unione Europea mi sembra più una scelta più disperata che politica. I gruppi dirigenti dell’Unione devono nascondere il fallimento storico, che è anche indipendente dal collasso economico-finanziario che sta ora accadendo negli Stati Uniti: quello dell’Unione è un fallimento economico-industriale. Il “rapporto-Draghi” del 2024 sulla competitività è una dichiarazione di questo fallimento rispetto agli Stati Uniti. Ma c’è un fallimento più generale: l’Europa dell’austerità ha impoverito i ceti medi, come del resto hanno fatto gli Stati Uniti; c’è una diseguaglianza lacerante, il welfare sta diminuendo, gli spazi di democrazia si chiudono sempre di più. L’Unione riesce a trovare un minimo di unità solo quando ubbidisce agli Stati Uniti, quindi fallimento anche sotto il profilo politico … I governanti europei sono mestieranti, sono ceto politico: loro devono pensare alla propria sopravvivenza, sono debolissimi perché dipendono da latri poteri, hanno operato in maniera tale da svuotare gli Stati di potere politico e di governo, non hanno nessuna prospettiva, non hanno nessun disegno, non ne hanno bisogno, immaginano che stando dietro al più forte qualcosa di positivo per loro accadrà.
Ne consegue che il riarmo europeo viene percepito dal resto del mondo come una dichiarazione di guerra al resto del mondo … la NATO deve continuare ad inventarsi il nemico di volta in volta. Ci avviamo così verso una guerra etnica intentata dai bianchi, armati fino ai denti, contro gli indigeni del resto del mondo, che potrebbero essere tentati di armarsi a loro volta rinunciando al loro progresso civile. Il che avrebbe conseguenze catastrofiche sul Pianeta Terra! Non ci reta che tentare di far ragionare il Calenda & co!
Già ora le guerre contemporanee hanno un impatto ambientale profondo e multidimensionale, spesso trascurato rispetto alle conseguenze umanitarie o politiche:
1. Inquinamento diretto: esplosioni e bombardamenti rilasciano sostanze tossiche (metalli pesanti, idrocarburi, composti di piombo, uranio impoverito) che contaminano suolo, aria e acque; gli incendi di impianti industriali, raffinerie o depositi di carburante producono nubi di fuliggine e sostanze chimiche persistenti (come le diossine); le armi chimiche e biologiche, se usate o distrutte impropriamente, possono liberare agenti altamente inquinanti.
2. Risorse idriche compromesse: i sistemi idrici (dighe, acquedotti, depuratori) diventano obiettivi strategici e vengono spesso colpiti o sabotati, portando a crisi sanitarie e a contaminazione diffusa delle falde.
3. Distruzione di ecosistemi: le foreste vengono incendiate o disboscate per motivi tattici (liberare campi di tiro, nascondere truppe, ottenere legname o carbone); le zone umide e costiere vengono spesso minate o contaminate, minacciando habitat cruciali per la biodiversità; gli animali selvatici subiscono sia la perdita di habitat sia l’aumento del bracconaggio in situazioni di instabilità.
4. Inquinamento post-bellico: mine e ordigni inesplosi rendono i terreni incoltivabili per decenni, impedendo la rigenerazione ambientale e la sicurezza alimentare; i rifiuti militari e rottami (veicoli, munizioni, rovine) rilasciano sostanze pericolose durante il degrado; la ricostruzione post-conflitto spesso avviene in modo rapido e non sostenibile, con un impatto urbanistico e ambientale elevato.
5. Impatti climatici indiretti: le guerre ostacolano la cooperazione internazionale sul clima, deviano fondi da iniziative ambientali alla spesa militare e peggiorano la resilienza dei Paesi colpiti.
L’impatto ambientale di una guerra non inizia quando scoppia, ma molto prima. La fase preparatoria della guerra è una guerra silenziosa contro l’ambiente consuma risorse, altera ecosistemi e aumenta le emissioni globali ben prima che il primo colpo venga sparato ed ha effetti ecologici enormi e spesso invisibili:
1. Produzione e logistica militare: l’industria bellica fabbrica armi, veicoli, esplosivi e sistemi elettronici consumando enormi quantità di energia e risorse minerarie (rame, litio, titanio, uranio); la produzione di acciaio e alluminio per armamenti, aerei e navi militari è altamente emissiva di gas serra; i rifiuti tossici industriali (solventi, lubrificanti, carburanti, esplosivi e residui metallici) contaminano acqua e suolo: ad esempio, i poligoni militari negli Stati Uniti e in Europa hanno accumulato tonnellate di residui chimici da test e detonazioni sperimentali, con contaminazioni da piombo e perclorati.
2. Infrastrutture e basi militari: la costruzione di basi, aeroporti, porti e depositi comporta deforestazione, consumo di suolo e cementificazione di grandi aree. Le basi navali e aeree richiedono anche sistemi energetici e idrici dedicati, spesso con scarichi inquinanti. Gli addestramenti (con esplosioni, esercitazioni con munizioni, test di veicoli) producono microinquinanti e alterano habitat locali: ad esempio, l’espansione delle basi NATO e russe in aree artiche e steppe ha compromesso ecosistemi fragili e migratori, con fuoriuscite di carburante e disturbo acustico.
3. Accumulo e trasporto di risorse strategiche: le scorte energetiche e logistiche (carburanti, munizioni, alimenti, veicoli) implicano un’intensa attività di estrazione e raffinazione; la militarizzazione delle catene di approvvigionamento (petrolio, gas, terre rare) accelera la pressione su regioni già ecologicamente vulnerabili; gli oleodotti e gasdotti strategici vengono spesso costruiti con criteri geopolitici, non ambientali, attraversando aree protette o instabili, come, ad esempio è successo nel Caucaso e nel Medio Oriente, dove le infrastrutture costruite hanno frammentano habitat e inquinato corsi d’acqua.
4. Mobilitazione e addestramento: le esercitazioni militari su larga scala implicano il consumo di migliaia di tonnellate di carburante per aerei, navi e mezzi terrestri (i luoghi destinati alla preparazione delle guerre sono l’1-6% delle terre emerse) hanno un impatto enorme sull’ambiente; i campi d’addestramento spesso si estendono per centinaia di chilometri quadrati, sottraendo habitat naturali e agricoli; le esplosioni e simulazioni di combattimento causano contaminazioni locali da metalli pesanti e residui esplosivi (TNT, RDX): ad esempio, le esercitazioni NATO Defender Europe o russe Zapad generano emissioni paragonabili a quelle di intere città durante le settimane di manovre.
5. Ricerca, test e smaltimento: i test di armi convenzionali e nucleari hanno lasciato un’eredità ambientale devastante (deserti radioattivi, contaminazioni da plutonio, zone inabitabili); anche la ricerca su nuove tecnologie belliche (droni, laser, missili ipersonici) comporta un consumo elevato di materiali rari e processi chimici complessi; lo smaltimento di armi obsolete o munizioni scadute spesso avviene in modo improprio (bruciatura, affondamento in mare) rilasciando sostanze tossiche: ad esempio, nel Mar Baltico e nel Tirreno giacciono migliaia di tonnellate di munizioni e armi chimiche smaltite dopo la Seconda guerra mondiale, tuttora pericolose.
6. Impatto sistemico e climatico: il complesso militare-industriale globale è tra i principali emettitori di gas serra, ma le emissioni militari non sono conteggiate nei protocolli climatici internazionali (come l’Accordo di Parigi); le guerre, o la loro preparazione, deviano risorse dalla transizione ecologica e legittimano l’espansione energetica fossile in nome della sicurezza: ad esempio, dopo il 2022 molti Paesi europei hanno riattivato centrali a carbone o aumentato l’importazione di gas liquefatto per motivi strategici.
Il Calenda ha fatto la sua comparsata televisiva, che ha prontamente pubblicato sul suo sito, ma forse non sa che
le attività militari globali sono tra le più emissive di CO₂, ma i loro dati non sono obbligatoriamente inclusi negli inventari climatici dell’ONU;
le guerre colpiscono sempre più infrastrutture civili: reti idriche, centrali, ospedali e impianti industriali;
gli effetti si protraggono per decenni e spesso non sono misurabili con precisione durante il conflitto;
l’impatto si intreccia con la crisi climatica: le guerre riducono la resilienza ecologica;
l’effetto più marcato delle guerre è la migrazione, sempre più enorme e insostenibile, di popolazioni; l’innalzamento del livello dei mari potrebbe in futuro essere un problema enorme se si considera che la stragrande maggioranza degli umani vive a meno di cento chilometri dal mare;
privilegiare il riarmo significa sottrarre risorse non solo al welfare, ma anche alle azioni di contrasto delle conseguenze dei fenomeni meteorologici estremi che accadono sempre più spesso anche in Italia.
C’è qualcuno che spieghi queste cose al Calenda & co, magari in un momento in cui costoro non ascoltino solo se stessi … che spieghi loro che Putin potrebbe ricorrere ai suoi sistemi missilistici e alle armi atomiche, nei cui ambiti la Russia eccelle anche rispetto agli USA? Se Calenda & co vogliono morire da eroi … ma ci sono altri sistemi che non coinvolgono chi vuole vivere!
Adolfo Santoro








