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Attualità martedì 09 giugno 2020 ore 19:46

Figlio di partigiani e in lotta per il Serristori

Una foto giovanile dello scrittore Gianfranco Sanguinetti

Sua madre “inventò” la mimosa come fiore dell’otto marzo, suo padre fece la liberazione di Firenze. Riappare un documento dello scrittore Sanguinetti



FIGLINE E INCISA — “L'ospedale di Figline è stato per otto secoli un tempio di civiltà, alla nostra generazione tocca in sorte di assistere al fatto che un branco di canaglie vuole distruggerlo, mentre noi siamo ancora vivi. La vergogna ricadrà su di noi se li avremo lasciati agire impunemente. Noi dobbiamo custodire ciò che il passato ci ha legato, combattendo e punendo tutte le forze che vogliono distruggerlo. La contessa Sofia Serristori non lascò ai politici quest'Ospedale, ma al popolo di Figline”. Anche se non sembra, questa frase fa parte di un documento ormai “storico”. È stato scritto ventidue anni fa dallo scrittore Gianfranco Sanguinetti, figlio di Bruno Sanguinetti e Teresa Mattei, politici e antifascisti. Il padre fu un attivista del Partito comunista clandestino, protagonista della liberazione di Firenze e dello sciopero generale del marzo del 1944. Sua madre, Teresa, fu partigiana, politica e pedagogista italiana. Fece parte della Costituente, ma curiosamente viene ricordata per avere scelto la mimosa come il fiore della festa della donna. Quando il futuro segretario del Pc, Luigi Longo, le chiese se sarebbe stato opportuno scegliere le violette, come in Francia, per celebrare l’otto marzo, “Teresita” gli suggerì invece di adottare la mimosa, un fiore più povero e diffuso nelle campagne.

Con un simile Dna nel sangue, Gianfranco Saguinetti non poteva certo esimersi dalla battaglia in difesa del Serristori. Così il 2 maggio 1998 tutto il paese di Figline fu invaso da un suo scritto, stampato in migliaia di copie, che si intitolava “Noi e loro”.

Ad oltre 22 anni di distanza, le copie di quel documento vengono ancora diffuse sui social. Certo, la prosa è chiaramente datata da una situazione politica ormai consegnata alla storia: Gelli, Piazza Fontana, Prodi, Berlusconi, D’Alema. Ma la parte che riguarda il Serristori sembra estratta da una polemica di quotidiana attualità. “Loro, i politici, hanno decretato la fine della più antica e civile istituzione di Figline, loro con Figline non c'entrano nulla. Così, per decreto si decreta la fine di un popolo. Dal 31 maggio 1998 non nascerà mai più un figlinese”. E poi l’invito a disertare le urne: “Se i vecchi stalinisti, travestiti di fresco da "democratici" hanno decretato che i figlinesi non siano più un popolo, ora dovranno eleggerne un altro. Noi non eleggeremo più né loro né altri. Non voteremo più”.

Lo scritto, tutto giocato sulla contrapposizione tra “loro” (i politici) e “Noi” (il popolo), è una sorta di manifesto “ante litteram” di quella che è poi diventata un’aspra battaglia politica, che ancora oggi fa scaturire manifestazioni di piazza “L'ospedale di Figline aveva solo un difetto, per loro: di funzionare troppo bene, di avere grandi medici e ottimi infermieri” chiosava allora lo scrittore, per poi concludere con un invito alla battaglia, che ovviamente risente del clima politico di quegli anni: “Figline, patria del principe dei medici moderni, Marsilio Ficino, non permetterà che una banda di manigoldi politici chiuda l'ospedale meglio funzionante d'Italia”. Il resto è storia di oggi.


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