Dal testo: ” il Vino, tra il sacro e il profano”
di Nadio Stronchi - lunedì 13 gennaio 2025 ore 08:00

Prodotto e pubblicato, 1999, dai Beni Culturali del Ministero della Cultura-di Roma
“Nelle nozze di Cana C. 11 r. Gesù compie il miracolo per intercessione di Maria, e per Lei manifesta, da messia, il suo primo miracolo; Gesù seduto al banchetto di nozze benedice le brocche di acqua tramutandole in vino”. Voglio ricordare a chi è Cristiano come me e chi è ateo e profano che l’uomo qualunque ha già provato a fare vino senza il frutto uva, facendo un’azione misera e vuota di sani principi. Però, pur essendoci uomini di sani principi, ci sono altri che sono profani della materia vino. Uno di questi, rimanendo nel periodo classico-romano, può essere Marco Gavio Apicio, vissuto nel periodo Giulio-Claudio essendo nato intorno al 25 a C. Seneca lo definì individuo dedito alla crapula ( gozzovigliare; sostantivo femminile, al cibo e alle tavole imbandite). Noto come esperto di pietanze, scrisse anche un libretto di 500 ricette ( libretto unico), ma di vino era per lui un ingrediente per cibi da cucinare. Qui sotto la descrizione del vino passito Apicio dell’azienda Pittaro di Codroipo Udine
L’Apicio, e più sotto il Vin Santo del Chianti sono due vini diversi. Il primo: colore paglierino carico, con profumo di frutta secca anche di (mandorla tostata) e molto scorrevole al gusto e con dolcezza equilibrata.
Il secondo. Colore: Giallo carico. Profumo: spiccatamente etereo, intenso di frutta appassita. Gusto: caldo, persistente dolcezza. Le sensazioni cambiano a seconda delle capacità olfattive e gustative soggettive.
Allora, cerchiamo di essere migliori di Apicio, affrontiamo il sacro, cioè la natività, festa natalizia, bevendo vino, magari Santo, cioè ( Vin Santo dei tempi moderni), creato chi sa quando e perfezionato nel XX secolo. Vino fatto con uve bianche appassite come la MalvasiaT, il Trebbiano e altre varietà con piccole percentuali; Non disdicendo il Sangiovese. Uve messe in lunghe filze in luoghi coperti ma, arieggiati. Verso novembre strette con piccole strettoie e il mosto messo in carratello o caratello, in latino caratium ( piccola botte di castagno o ciliegio da 50 o 100 litri, in un luogo, che poteva essere la soffitta, nella quale c’era la temperatura elevata per consentire una fermentazione lunga da dare al vino molta alcolicità, 15, 16 o più di gr alcool, ma dal sapore dolce, quasi secco o secco. Ci sono state varianti in tutti i tempi a seconda delle idee personali con gradualità della dolcezza; Dipendeva anche dalla domanda del consumatore. Oggi, il consumatore vuole il vino dolce e molto alcolico, e gli viene offerto il Vin Santo per tradizione con una propria “veste”, ma in realtà si potrebbe definire un passito? In qualche caso si!, il passito ha un profumo e un gusto molto più complessi del Vin Santo.
Nadio Stronchi