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Attualità sabato 29 agosto 2020 ore 13:41

Il 29 agosto e quattro bambini ammazzati a Incisa

Callisto Grandi, detto Carlino, era lui l'Ammazzabambini

Riemergono i particolari di una terribile vicenda che per due anni terrorizzò il paese del Valdarno. La storia di Callisto detto “l’Ammazzabambini”



FIGLINE E INCISA — Era il 29 Agosto. Un lunedì, di 145 anni fa. Quel giorno venne finalmente scoperto “l’Ammazzabambini” di Incisa, al secolo Callisto Grandi, detto Carlino per la sua bassa statura, di professione carradore. In paese tutti lo consideravano un po’ strano, ma innocuo.

In realtà Callisto “Carlino” si rese protagonista di una vicenda truce, che era iniziata due anni prima, il 18 marzo 1873. Era la vigilia di San Giuseppe. Alle 11 del mattino, raccontarono i giornali dell’epoca, sparì “quasi sotto gli occhi materni di mamma Assunta” il piccolo Luigi Bianchi. Aveva poco più di tre anni di età. Era il figlio del muratore Anacleto Bianchi, sposato con Assunta Bonechi. Dopo lunghe ricerche si immaginò che fosse caduto nell’Arno.

Si pensò al fiume che scorre entro Incisa anche il 2 febbraio 1875, quando sparì misteriosamente Arturo Degli Innocenti: tre anni e dieci mesi di età.

Qualcuno provò a rafforzare la pista che indicava l’Arno come il colpevole delle misteriose sparizioni dei bambini, quando fece ritrovare il cappellino di paglia di Fortunato Paladini, 9 anni, figlio di Fortunato e Maddalena Daviddi, anche lui sparito senza un motivo apparente.

Il cappellino del ragazzo fu trovato sotto un voltone, che dal mezzo del paese di Incisa conduceva alla Piazza del Mercato, e da questa all'Arno. Ma quel giorno era il 21 Agosto 1875 e il fiume Arno era quasi in secca. Così il dubbio cominciò a serpeggiare tra la gente di Incisa. Tanto più che il giorno dopo, il 22 agosto, mentre tutti erano ancora impegnati nelle ricerche del piccolo Fortunato Paladini, tenendo particolarmente d’occhio gli argini dell’Arno, sparì un quarto fanciullo, Angelo Martelli, di anni 7.

Una settimana dopo avvenne il colpo di scena. Erano le ore 11 del 29 agosto 1875. La famiglia Turchi stava per mettersi a tavola, mentre la madre Rachele accudiva alle faccende domestiche, il figlio Amerigo prese un pezzo di pane e scese giù in via Petrarca. Raccontano le cronache dell’epoca che la madre gli aveva raccomandato “per carità” che non si allontanasse “perché il pranzo era quasi pronto, e per il timore allora penetrato nelle viscere di tutte le madri, non si ripetesse anche per lei la sventura toccata sette giorni prima alla madre del Paladini e del Martelli”.

Dopo quattro minuti Rachele chiamò il figlio Amerigo, ma non ebbe risposta. Scrisse il cronista dell’epoca chenacque tosto nella mente della povera dorma una tremenda apprensione di qualche disgrazia, e palpitante discese nella strada”.

Lì vicino c’era la bottega di carradore condotta dai due fratelli Grandi, e dal loro cognato. Proprio accanto alla bottega del carradore in via Petrarca sboccava un viottolo scosceso che conduceva all'Arno, guarda caso “sotto una volta del quale fu trovato la sera del 29 agosto 1875 il cappellino del Paladini”. Ma quel 29 agosto l’Ammazzabambini fece male i suoi calcoli.

Quando la famiglia Turchi si precipitò in strada scorse una ragazzina, Giulia Monsecchi, di 14 anni, agitarsi davanti alla porta di Carlino perché dalla bottega del carradore arrivano delle grida «Tu m’ammazzi, stai fermo». Tanto che, davanti alla bottega dei fratelli Grandi, era sopraggiunta anche la madre della ragazzina, Argenta Monsecchi, di professione pizzicagnola, che nel frattempo aveva chiamato altra gente perché aveva sentito distintamente la voce del carradore Callisto che diceva: «Stai fermo, stai fermo, non ti fo nulla».

La porta fu sfondata: Il piccolo Amerigo era sanguinante. Carlino si giustificò dicendo che il ragazzo si era ferito cadendo su una ruota, e subito si allontanò verso casa. Ma Amerigo, singhiozzante, raccontò un’altra storia, iniziando da quando Carlino l’aveva invitato ad entrare nella sua bottega con la scusa di giocare a nascondino, o come si diceva allora a Incisa “a piattacuccù”. Mentre era disteso a terra per “rimpiattarsi” in una buca, il ragazzo era stato colpito e coperto di terra, ma era riuscito miracolosamente a rialzarsi, gridando, chiedendo aiuto e implorando Carlino di fermarsi.

Il racconto del piccolo Amerigo fece nascere un terribile sospetto nella gente. Allora i genitori dei ragazzi scomparsi si misero a scavare nella bottega e ben presto emersero i resti dei quattro bambini di cui si erano perse le tracce.

Dovette intervenire la forza pubblica per impedire il linciaggio di Callisto Grandi. "Carlino"  aveva all’epoca 24 anni, fu processato il 18 dicembre dell’anno successivo. Confessò gli omicidi, disse che aveva agito perché i ragazzi lo prendevano in giro per la sua bassa statura e poi gli facevano dei dispetti. Callisto dopo aver scontato 20 anni al carcere delle Murate di Firenze, morì nel manicomio di San Salvi nel 1911.


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