Sport

Coppi racconta: “Il mio incubo era in Valdarno”

La salita che più lo aveva fatto soffrire viene descritta proprio dal Campionissimo. Un libro racconta tutto, a sessant’anni dalla sua scomparsa

Il libro che raccoglie gli scritti di Coppi

È il 6 aprile del 1941 e si corre la diciassettesima edizione del Giro della Toscana. Da Firenze a Firenze, per un totale di 267 chilometri. Condizioni climatiche orribili. Partono in 48, ma finiranno la gara solo in 14.

In maglia Bianchi prende il via un ventiduenne con un nome già famoso: Fausto Coppi. Quel giorno il corridore di Castellania compie una delle sue imprese leggendarie. Vince al termine di una lunga fuga solitaria, iniziata a 60 km dal traguardo. Fausto conclude il Giro della Toscana in 8 ore e 48 minuti, alla media di 30,341 chilometri orari. 

Soltanto Gino Bartali, l’uomo di ferro che correva sulle strade di casa, riesce a mantenere il distacco in termini “normali”. Ginettaccio, in maglia Legnano, arriva con un ritardo di tre minuti e un secondo.

 Abissale il distacco del terzo arrivato: Gino Fondi (Legnano), il quale accusa undici minuti e mezzo da Coppi. Il quarto, Enrico Mollo (Olympia) arriva dopo ventiquattro minuti e quattordici secondi, rispetto all’uomo che veste la mitica maglia biancoceleste, poi celebrata nella leggendaria tappa Cuneo Pinerolo dal radiocronista Mario Ferretti, con la frase rimasta nella storia: “Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”.

Eppure in quel Giro della Toscana del 1941, dominato da vero Campionissimo, Coppi dovette affrontare una salita che negli anni successivi gli turberà il sonno. L’ascesa più faticosa della sua sterminata carriera. Quei terribili 15 chilometri, che dalla valle dell’Arno portano a Saltino di Vallombrosa, sono minuziosamente descritti dallo stesso Fausto Coppi, in una lettera che ora è stata pubblicata nel libro “Non ho tradito nessuno” – autobiografia del Campionissimo attraverso i suoi scritti – a cura di Gabriele Moroni (ed. Piccola biblioteca Neri Pozza).

Scrive Fausto Coppi: "Non ho mai sofferto tanto in vita mia. Ho pedalato sul Muro di Grammont in Belgio, sull'Iseran nel Tour, ricordo lo Stelvio nel Giro d'Italia, ma ho sempre in mente quella salita del Saltino, quei quindici chilometri spaventosi, quel fango dal quale dovevo liberare la bicicletta centimetro per centimetro. Solo affrontai quella salita e solo la finii. La vedo ancora come un incubo, qualche volta l'ho sognata: senza uno spettatore, con l'acqua che scrosciava ai bordi della strada, la pioggia battente che il vento mi gettava sulla faccia".